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| | Ferro 3 La casa vuota
Titolo originale: Bin-jip ( La casa vuota) / 빈집 Anno di produzione: 2004 Regia e sceneggiatura: Kim Ki-DukNazione: Corea del Sud Il film è disponibile anche in Italia.Cast:Hyun-kyoon Lee (Jae Hee)... Tae-suk Seung-yeon Lee ... Sun-hwa Hyuk-ho Kwon ... Min-gyu (il marito) Trama - Tratta dalle parole del regista (!): Esco dalla mia casa. Mentre sono fuori, qualcun altro entra nella mia casa vuota e ci vive. Mangia cibo dal mio frigorifero, dorme nel mio letto, guarda la mia TV. Forse perché si sente in colpa, aggiusta la mia sveglia rotta, fa il bucato, mette tutto in ordine e poi scompare. Come se nessuno fosse mai stato lì...
Un giorno entro in una casa vuota. Sembra che non ci sia davvero nessuno, così mi spoglio, mi faccio un bagno, preparo da mangiare, faccio il bucato, aggiusto una bilancia e mi esercito a golf nel giardino di casa. Nella casa c'è una donna scoraggiata, spaventata e ferita che non esce mai e piange. Mostro a lei la mia solitudine. Ci capiamo senza dire una parola, scappiamo via senza dire una parola.
Mentre scegliamo in quale casa vivere, ci sentiamo sempre più liberi. Nel momento in cui sembra che la nostra sete di libertà si sia placata, restiamo intrappolati all'interno di una casa buia. L'uno resta in una casa fatta di nostalgia. L'altro impara a diventare un fantasma per nascondersi nel mondo della nostalgia.
Ora che sono un fantasma non ho più voglia di cercare una casa vuota. Ora sono libero di andare nella casa in cui vive la mia amata e darle un bacio felice. Nessuno sa che sono lì. Tranne la persona che mi aspetta... Qualcuno arriva sempre per la persona che aspetta... Arriva di sicuro... dalla persona che aspetta...
In questo giorno del 2004 qualcuno aprirà il lucchetto che blocca la mia porta e mi renderà libero. Avrò cieca fiducia in questa persona e la seguirò ovunque, non importa dove o cosa ci succederà... Verso un nuovo destino...
E' difficile dire se il mondo in cui viviamo è sogno o realtà.
Agosto 2004, Kim Ki-duk in una casa vuota Riconoscimenti- Leone d'argento a Ki-duk Kim alla Mostra d'arte cinematografica di Venezia, 2004 - Premio FIPRESCI a Ki-duk Kim alla Mostra d'arte cinematografica di Venezia, 2004 - Miglior sceneggiatura ai 24° Critics Choice Awards, 2004 - Netpac Award a Ki-duk Kim al Pusan International Film Festival, 2004 TrailerVideoCuriosità:1. Un mese per scrivere la storia, 16 giorni per girarla, poco più di una settimana per montarla. 2. La mazza del titolo, la numero 3, è la meno utilizzata nel golf: «In questa immagine - spiega con puntiglio Kim, preoccupato di parlare anche al meno acuto fra i suoi spettatori - vedo la metafora di una persona abbandonata o di una casa vuota». Ma il ferro 3, prosegue, è anche l’arma con cui Tae-suk salva Sun-hwa, «diventando così il simbolo della speranza di un cambiamento». 3. Il film doveva essere musicato da Michael Nyman (suo il cd - Live del 1994 - che il protagonista inserisce nel lettore dello stereo in casa del fotografo) ma per motivi ignoti la collaborazione è saltata all’ultimo minuto. Recensioni e commenti: - tratti da mymovies :Critici:1. Roberto Escobar Il Sole-24 Ore: "Perché Tae-suk entra nelle case vuote? Per occupare uno spazio residuale, uno spazio lasciato. Il fatto è che Tae-suk ambisce al vuoto, e dunque anche allo 0 della bilancia, approssimazione domestica alla rarefazione d’ogni metafisica. [...] Chiuso in cella, prima s’arrampica su per i muri, e poi, con assiduità e applicazione, impara a nascondersi alle spalle del carceriere. Tradotto: impara a nascondersi nello Spazio vuoto, nello spazio residuale dello sguardo umano, capace di vedere solo davanti a sé, per i soliti e miseri 180 gradi. Lì, dove l’occhio e il cinema non arrivano, così par di capire, c’è la libertà. (non sono del tutto d'accordo con questa opinione, ma la trovo interessante - NdStep)
2. Alessandra De Luca Ciak: L'amore - Un sentimento che muterà il protagonista in una presenza impalpabile e sfuggente, pura immagine nella mente di chi ha bisogno. Trasformando metaforicamente gli esseri umani in case vuote in attesa che qualcuno forzi la serratura per liberarli, il regista confonde i diversi piani del reale, lasciando quasi che le cose accadano davanti alla cinepresa secondo ragioni profonde, riuscendo a dare voce al silenzio, come i solo i grandi maestri del muto sanno fare. («Siamo tutti case vuote, e tutti aspettiamo qualcuno che rompa la serratura e ci renda liberi» sono parole del regista - NdStep)
3. Alberto Castellano Il mattino Racconto davvero intelligente, imprevedibile e intrigante nel mescolare il fisico col metafisico, la fluidità narrativa con l'eleganza scenografica.
4. Gian Luigi Rondi Il tempo Tae-suk, forse morto in prigione, forse riuscendo misteriosamente ad uscire dal proprio corpo, da quel momento tornerà sempre al fianco della sua amata. Lirismo e visionarietà.
5. Matteo Columbo Il morandini 2007 Presenza perfino feroce nei suoi film precedenti (L'isola), qui la violenza è indiretta, non fisica o fuori campo. Anche la violenza della prigionia - il contrario della casa, delle case che Tae-suk, angelo anarchico ma metodico, riabilita e fa rivivere -“è vanificata da una bellezza che avvera un magico annullamento spazio-temporale”. Pubblico:1. Mattia Nicoletti - Altra trama spiegata in maniera più semplice: Abbandonati la valle sperduta e la casetta galleggiante del monaco, della favola morale Primavera, estate, autunno e inverno e... ancora primavera, il regista coreano torna ai giorni nostri per raccontare il tema della solitudine e dell'amore. Tae-Suk è un giovane che trascorre le sue giornate entrando nelle case lasciate vuote occasionalmente dai proprietari. Dorme sul divano, si fa la doccia, lava i panni, aggiusta gli oggetti che non funzionano, gioca a golf e si scatta fotografie da solo con la sua camera digitale. Tutto con una leggerezza quasi ultraterrena. Un giorno, entrando in una casa, si accorge c'è una ragazza, Sun-hwa, che ha dei segni di maltrattamenti sul viso. Sono i continui litigi con il marito. Tae-suk la prende con sé, per vagare insieme nelle case degli altri, e condividere questo strano modo di vivere che trasforma, lentamente, la loro amicizia in amore. Un evento inaspettato li allontanerà, ma non per sempre. Ferro 3 descrive la solitudine dei protagonisti, eliminando il dialogo, limitato alle grida fredde dei personaggi di contorno, e lasciando parlare i silenzi dei sinuosi movimenti di Tae-Suk. Sembra volare negli spazi, così come era sospesa sull' acqua dell'irreale lago, la casa del monaco nel film precedente. I gesti che compie nelle sue giornate sono il suo divertimento, il trascorrere del tempo di una persona che vive da sola, e che nella vita non ha dimenticato uno degli elementi più importanti, la curiosità. La curiosità, desiderio che spinge verso l'ignoto, fa incontrare poi le due lune, per dare origine a un amore quasi angelicato, nel quale comunicare è muoversi, affascinare è sfiorarsi. Per giungere poi, all'ultima sequenza del film, in cui l'occhio artistico del pittore dipinge l'amore, sentimento magico, impalpabile come l'aria.
2. Mario conti Ferro 3 è assolutamente, esclusivamente cinema. Anche se mai visto, mai ascoltato: ma il cinema, sappiamo, nacque muto; e muto si impose alle masse, muto affascinò e sedusse. "Ti amo". L'unica frase pronuciata (meglio:sussurrata) dai protagonisti scatena il paradosso. Sono parole abusate, saccheggiate da un qualsiasi sceneggiatore pigro, quasi a voler dare respiro all'ansimare della pellicola, a restituirle vigore e slancio, prima della agnizione, dell'Amore urlato e mostrato come un brutto quadro in un salotto volgare. In Ferro 3 quel "Ti amo" è essa stessa agnizione. E' verbo leggero e inaspettato, è un riaccostare le reciproche solitudini e rinsaldarle, trasportarle dalla fantasia alla vita. Inutile cercare, nella seconda parte del film, riferimenti razionali. L'uomo, divenuto invisibile, nell'amore ritrova carne, muscoli e pulsazioni;e si fa carne per colei che ama, da cui è amato. E' forse questo il segreto di ogni sentimento: il sogno di esistere soltanto per una persona, l'unica che sappia leggere dentro di noi, l'unica verso cui non proviamo timore ad aprire il nostro libro spesso sritto male, pieno di zoppicature e strafalcioni. Perchè difficile è la sintassi dell'esistenza. E poi, insomma, il film si lascia guardare e scorre via lento e placido. I personaggi di contorno gridano, soffrono, si dimenano, corrono. E loro due, bellissimi e imperturbabili, continuano ad anelare all'ordine e al rispetto. Violano case, ma le riassettano (anche ciò metafora dell'amore? L'amore non nasce forse come invasione di un'intimità, non sconvolge, viola, penetra e poi si riequilibra nei suoi corollari di affetto e complicità?), salgono su una bilancia e non vi leggono che assenza di peso: nell'amore sono diventati anima. Lo abbiamo sperato tutti, almeno da adolescenti: un amore fatto solo di sguardi, di intese, un amore che ti faccia volare e ti renda etereo, forse folle, felicemente folle. Si esce dal cinema, sempre più vuoto, abovinevolmente disertato, e si è felici.
3. Sy Il silenzio viene usato come un alternativo mezzo di comunicazione fra i due.
4. Bidibi Il paragone più appropriato sia quello col Piccolo Principe: come lui, anche Tae-suk è una persona sola, ultrasensibile, capace di provare e manifestare autentico interesse per gli altri; ma a differenza del ragazzino creato da Saint-Exupéry, il Piccolo Principe coreano non soddisfa la sua curiosità per gli uomini sommergendo il prossimo di domande... Sceglie invece di osservare i suoi simili ‘nell'assenza’: entra di nascosto nelle case di sconoscuti mentre sono via e ne vive per pochi giorni la quotidianità attraverso l'uso delle loro stanze e dei loro oggetti personali.
5. Ros Ho visto un film che è poesia. (sono d'accordo!!! NdStep) Brevi informazioni sul regista - tratte dal sito Mymovies :"Il mio cinema è un dialogo fatto d'immagini, come per la pittura". Tacciato di essere un visionario in patria e osannato, invece, con una pioggia di riconoscimenti nel vecchio continente, le opere del regista coreano si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale. Elementi questi che, miscelati a scelte stilistiche e narrative fortemente innovative, danno vita a una forma totalmente estranea a paragoni e parallelismi, un'esperienza magica e sensoriale scaturita, invece, dalla passione di un autodidatta che il cinema non lo ha mai studiato né sotto l'aspetto teorico né nella pratica. Kim Ki-Duk nasce nel 1960 a Bonghwa, piccolo villaggio della Corea del Sud, trasferendosi all'età di nove anni a Seoul, dove frequenta una scuola di avviamento professionale al settore agricolo. Abbandonati gli studi per problemi familiari si arruola, all'età di vent'anni, nell'esercito, esperienza questa che condizionerà profondamente il suo modo di vedere i rapporti interpersonali e, conseguentemente, l'estro e la creatività al servizio dell'arte. Parentesi altrettanto importante è quella che lo vede avvicinarsi alla religione, trascorrendo due anni in una chiesa per ciechi col fine di diventare predicatore. L'arte però, altra passione coltivata negli anni, lo trascina violentemente fuori dal suo passato, portandolo ad intraprendere un viaggio nel vecchio continente dal sapore bohemien. Parigi diventa quindi la palestra migliore per un pittore che sopravvive grazie alle sue opere e che, a stento, porta avanti l'amore per l'arte vissuta a trecentosessanta gradi iniziando, tra l'altro, a scrivere sceneggiature per il cinema. [...] È il 2003 l'anno della cosiddetta maturità artistica che in Kim trova forma ed espressione in Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, pellicola che si discosta dalla durezza delle precedenti ma che allo stesso tempo contiene un forte equilibrio visivo e narrativo, tanto da consacrare definitivamente il suo autore in tutta Europa. L'anno successivo realizza La Samaritana, film che riporta a galla forti tematiche come la prostituzione e che vale l'Orso d'argento a Berlino per la regia. Autore volitivo e in continua eruzione Kim nello stesso anno porta in scena Ferro 3-La casa vuota, anch'esso energicamente legato alle tematiche giovanili tanto da diventarne in un certo qual modo summa artistica e personale. Il film non tarda ad essere apprezzato ricevendo il Leone d'argento alla Mostra Internazione d'Arte Cinematografica di Venezia nel 2004. Nei due anni successivi realizza L'arco (2005) e Time (2006), pellicole che in maniera diametralmente opposta analizzano la profondità dell'amore, scandagliandone i fondali fino a toccare aspetti ambigui e pericolasi come la pedofilia. Links:Cinema CoreanoMymoviesGuardatelo in tante! :bau: Credt:_Step88_
ho finalmene visto Ferro3. l'ho visto insieme a mia sorella che si è addormanetata prima della fine. poverina...questo genere di film non fà per lei ma ho apprezzato il tentativo. io invece l'ho adorato. veramente bello e silenzioso! Edited by cris01 - 5/1/2018, 17:50
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