| Ieri sera ho finito di vedere White Christmas - Monster (in orario antelucano, l’ideale per questo genere di storie un pò psicologiche un pò mistery), e devo dire che mi è piaciuto davvero molto. Non si è rovinato nè banalizzato nel finale, cosa che temevo e spesso accade, ma anzi la conclusione mi ha spiazzata positivamente. Se dovessi definirlo con un solo aggettivo, direi: disturbante, disturbato. Disturbante perchè fa riflettere su una domanda scomoda (mostri si nasce o si diventa?), disturbato perchè tutti i protagonisti, ognuno a proprio modo, lo sono. E poi claustrofobico, sebbene la storia si svolga in una scuola enorme e deserta, con ampi paesaggi intorno. Ma è claustrofobico lo stesso, perchè dà un senso di oppressione, come sempre accade quando si entra nel lato oscuro della mente umana. Commento con spoiler, ma non eccessivi, ho evitato di citare scene specifiche: Come dice la trama, ci sono una manciata di ragazzi e un professore, che decidono di restare nel proprio istituto scolastico durante gli 8 giorni delle vacanze di Natale. La Susin High School è una scuola superiore per geni unica nel suo genere, con regole rigidissime, persa tra i monti innevati e volutamente isolata dal resto del mondo. Capisco il professore, che rimane perchè loro restano, e non li si può certo lasciare da soli, ma quei ragazzi perchè rimangono? Questo mi ha fatto scattare da subito un campanello d’allarme, non è normale che dei diciottenni vogliano restare in un gelido edificio vuoto, invece di starsene al caldo di casa, in uno dei pochi periodi di vacanza che hanno. Certo, c’era la strana lettera anonima di minaccia ricevuta, ma mi è parsa più che altro una scusa per non tornare a casa. Ergo a casa non stanno bene, ergo saranno pure dei geni, ma qualche problema ce l’hanno già in partenza.
E infatti avevo ragione. Le prime puntate li vedono più eccitati che spaventati, come se tutto fosse una sfida, una sorta di gioco che spezza la monotonia delle loro vite irregimentate, dedicate solo allo studio. E ci vengono man mano presentati, con i propri punti di forza e di debolezza. C’è chi ha un deficit uditivo e pur portando un apparecchio acustico sente questa limitazione (Cameraman), chi soffre di depressione e ha incubi del proprio passato (Angelo), chi pare il ragazzo perfetto ma non ha mai superato la morte della madre avvenuta da bambino per salvarlo (Leader), chi è talmente intelligente da sembrare senza sentimenti (Genio), e così via per gli altri, ognuno con un trauma personale noni affrontato. All’apparenza sono la gioia di qualunque genitore, l’orgoglio di ogni famiglia: belli, bravi, perbene. Ma dietro l’immagine pubblica immacolata si notano le crepe, le ombre, come della spazzatura nascosta sotto un tappeto. E’ lì anche se non si vede, e per farla venire a galla basta spostare il tappeto.
Questo spostamento avviene quando arriva, quasi subito, un ospite inatteso, uno psicologo che ha avuto un incidente di macchina e si rifugia nella scuola (unico edificio nel raggio di chilometri), perchè sono previste tempeste di neve e le strade sono bloccate. Lui è il grimaldello che fa saltare tutto, l’apparente normalità della situazione che normale non è per niente, lui e la misteriosa lettera. Una miccia in una santabarbara.
Le puntate centrali modificano la prospettiva, e quello che sembrava il problema centrale passa in secondo piano, mentre si scopre una nuova minaccia. E arrivano i morti. A questo punto tutti iniziano ad avere paura sul serio, cominciano a capire che no, non è un gioco, e che sono in pericolo perchè il male si annida tra di loro. Sono isolati, qualcuno ha staccato telefoni e internet (ma non le telecamere interne), i cellulari non prendono in quella zona montuosa, sono soli. Soli con la follia, propria e altrui. E c’è chi gioca con loro, da soggetti del gioco ne divengono oggetto. Quindi riemergono vecchie paure, paranoie, timori, il passato non affrontato, nascosto sotto il tappeto per credere che non esista. Ma c’è, e come una valanga travolge ogni cosa.
Gli ultimi episodi, i migliori anche come realizzazione, cambiano di nuovo le carte in tavola, in una sorta di ribaltone continuo. Ora il nemico si è palesato, e non è più solo esterno, ma anche interno, il nemico peggiore, quello che non si vorrebbe mai vedere, che non si sa nemmeno come affrontare. Una vera discesa all’inferno. Questa parte mi ha ricordato molto, e forse ne è stata ispirata, Il Signore Delle Mosche, il famoso romanzo. Nel drama non c’è un’isola deserta dove approdano i ragazzi, bensì una scuola, altrettanto deserta e isolata, ma l’andamento è uguale. Lasciati a se stessi, nonchè preda di una personalità folle ma forte e lucida, i protagonisti lasciano emergere i propri peggiori istinti, cominciano a lottare tra di loro, fino ad arrivare sull’orlo del baratro.
Finalmente il resto del mondo si ricorda della loro esistenza, arriva la polizia (decisamente incapace, ma se non altro utile a liberarli), e il mostro viene catturato. I sopravvissuti sono feriti, sconvolti, traumatizzati, ma vivi. Squallidi e penosi i ricongiungimenti con genitori inadeguati, incapaci di dar loro quell’affetto e rassicurazione di cui hanno bisogno, il vero calore della famiglia, ma almeno la vita riprende normalmente. O forse no. Il finale è spiazzante, mi ha sorpresa per la sua brutalità, non fisica o visiva, ma di contenuto. Però mi aspettavo qualcosa del genere, era inevitabile al punto in cui si era arrivati, è la risposta alla domanda di partenza: mostri si nasce o si diventa?
Mostri si diventa, perchè nessuno nasce cattivo, a meno che non abbia grossi problemi mentali. Però non è così facile nè automatico. Ognuno di noi ha una parte nera, ma essa è quasi sempre nient’altro che un’ombra relegata in un angolo, diventa reale solo se diverse caratteristiche si uniscono, e neanche sempre: traumi pregressi, carattere fragile, insicurezza, stress eccessivo, incapacità a gestire le situazioni critiche, personalità influenzabile, mancanza di punti di riferimento. Ma non sempre, ripeto, le variabili sono tante; non tutte le persone con traumi diventano mostri, non tutti coloro che affrontano situazioni al limite lo diventano, solo alcuni, solo quelli che hanno più caratteristiche insieme, e solo in determinate circostanze. Quell’”ho vinto” finale del mostro mette i brividi, ma tutto ciò che ha fatto era comunque caduto su un terreno fertile, già pronto, a cui bastava solo un imput. In fondo lui non ha fatto chissà cosa, non ci sono stati grandi discorsi, ma è bastato, ha dato il la a tutto ed è rimasto a guardare.
Perchè se quella situazione avesse riguardato altri ragazzi, un altra scuola, altre famiglie, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente, e oltre la sacrosanta paura, il comprensibile terrore, certi discorsi sarebbero caduti nel vuoto, l’istinto di sopravvivenza sarebbe emerso, e forse il mostro sarebbe morto lo stesso, ma non in quel modo disturbante, disturbato, claustrofobico. Sarebbe rimasto l’unico mostro, invece di generarne altri. Un drama diverso dal solito, che consiglio a tutti, recitato e girato davvero bene, con una trama intelligente e personaggi di spessore, e poi sono solo 8 puntate. Buon Natale. Mostruoso.
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