Drama STU-PEN-DO!!!!
Quest'opera riesce in un'impresa difficilissima e quasi impossibile; una scommessa direi: raccontare in soli dodici miseri episodi l'intera vita (e non solo fino al ricoprimento del ruolo di cuoco personale dell'Imperatore, come credevo io) del personaggio storico Tokuzo Akiyama in modo incredibilmente perfetto. I tempi sono cronometrati al millesimo di secondo, sono chirurgicamente ineccepibili cosicché il tempo narrativo scorra assolutamente fluido, i cambiamenti siano sentiti ma graduali, senza nessun stacco o alterazione repentina da parte dei personaggi che farebbe estraniare lo spettatore; i tempi non sono morti ma si soffermano laddove è necessario per far percepire a chi guarda i mutamenti – ripeto: piccoli, lenti ma significativi – del protagonista ed anche di chi gli sta intorno.
Il tempo passa – eccome se passa! – ma lento e graduato; i personaggi cambiano –eccome se cambiano! – ma piano, un po' alla volta, naturalmente, proprio come succederebbe nella vita vera; indi per cui lo spettatore non si accorge nemmeno di queste evoluzioni (se non in retrospettiva) tanto sono naturali e così affini alla realtà.Interessantissima la scelta di utilizzare sempre lo stesso attore come interprete di Tokuzo per tutto l'arco del drama (e quindi per tutto l'arco della vita del personaggio), e per questo a Takeru Satō vanno tutti i plausi e tutte le lodi possibili ed immaginabili poiché
dalla prima scena fino alla vera ultima si mostra capace di una
performance recitativa MAI banale, MAI esagerata o grottesca ma sempre perfettamente in sintonia con ciascun Tokuzo che incontriamo nel corso del drama; che incontriamo nel corso della SUA strada. Satō riesce a dar vita in modo strabiliante al Tokuzo sedicenne iniziale, un ragazzo immaturo, ingenuo, incongruente che non riesce ancora a spiccare il volo e per questo è un po' lo zimbello del suo villaggio ma che è anche un grande sognatore; ci mostra poi un giovane adulto ancora ingenuo nei confronti della vita ma oramai con grandi capacità ed esperienza nel suo lavoro, un giovane che sa qual'è la sua strada ed è tutto intento nel percorrerla; Satō poi impersonerà con molta facilità un Tokuzo adulto, padre di famiglia troppo spesso assente per via del suo lavoro così impegnativo ed obbligante, un padre un po' severo all'esterno (com'era consuetudine all'epoca d'altra parte) ma in realtà devotissimo alla moglie ed ai figli. L'attore, infine, metterà la ciliegina sulla torta palesandoci un Tokuzo ormai maturo, gravato da perdite personali e costretto ad attraversare il periodo più tumultuoso della storia giapponese contemporanea: l'era Showa.
In tutto questo (lo risottolineo) non c'è MAI NULLA DI MACCHIETTISTICO, NEANCHE UNA SOLA VOLTA. Satō È DAVVERO un bambinetto scapestrato, È DAVVERO un giovane pieno di voglia di vivere e pieno di idee, È DAVVERO un normale padre di famiglia gravato dal lavoro, È DAVVERO un uomo che si sta avvicinando alla fase conclusiva della sua vita, un uomo che vede sfaldarsi davanti ai suoi occhi come castelli di carta tutto il suo mondo che aveva sempre conosciuto, ma che, nonostante tutto, deve continuare ad andare avanti e stringere i denti.
Takeru-san anche se non puoi sentirmi
: davvero,
chapeau!
Certo, questo drama è stato fatto per celebrare i sessant'anni dell'emittente televisiva TBS; e quindi lo scopo era quello di commemorare un giapponese (e con lui il Giappone tutto, ovviamente) che si fece un nome anche all'estero e che riuscì a dimostrare davanti a tutto il mondo le capacità e l'eccezionalità del Sol Levante. Ma – volutamente o meno – io credo che in quest'opera ci sia dell'altro: oltre allo sguardo sensibilissimo verso i piccoli gesti della vita quotidiana e ad un'accortezza in più nel raccontare delle tante vite in cui tutti noi ci imbattiamo nel corso del nostro cammino, ognuna unica ed inimitabile ma anche, spesso, breve ed effimera; il tema del
sogno è un argomento portante di questo drama, affrontato approfonditamente e con squisita finezza e, sopratutto, in maniera molto, molto realistica. È solo un caso che qui si parli di cucina (il grande sogno di Tokuzo): qualunque sogno, qualunque professione sarebbe andata bene lo stesso poiché avrebbe posto davanti al sognatore in questione più o meno gli stessi identici ostacoli che il nostro si troverà ad affrontare. In questo senso sono a dir poco illuminanti i dialoghi col fratello maggiore Shutaro: quando, per esempio, Tokuzo incontra le prime difficoltà nel suo mestiere di sguattero ed è quasi sul punto di abbandonare definendo il suo lavoro
noioso; questi gli fa notare come questa non sia altro che l'ennesima rinuncia di una lunghissima serie da parte del nostro protagonista, il quale subito “parte in quarta” come si direbbe, si appassiona smodatamente senza pensare alle cose in modo oculato per poi abbandonare poco dopo. Shutaro glielo dice chiaramente: “Tu ti comporti sempre così: ti rifiuti di imparare. Quando ti imbatti in cose che non sai fare, cerchi di risolverle a modo tuo. Finisci per perdere la pazienza e dici che quello che non sei capace di fare è noioso. [….] Con il tuo atteggiamento, anche i lavori interessanti finiscono per diventare noiosi. Non è così che funziona con te?”. Ecco, quindi, che viene gettata luce su un aspetto interessante del carattere del protagonista; aspetto che interessa molte persone quando hanno a che fare proprio con l'argomento
sogno: Tokuzo in realtà non è né svogliato né scansafatiche (come pensano i suoi famigliari e praticamente tutti quelli del suo villaggio); ma essendo giovane, come tutti i giovani di ieri e di oggi semplicemente vuole
tutto e subito. Prende interesse per una cosa? Bene, deve diventarne il numero uno dall'oggi al domani! E guai a non riuscirci! – Altrimenti smette subito; ma non perché non ci riesce (ci mancherebbe!), ma perché quella cosa è risultata noiosa e quindi non ne vale la pena. Non lo diceva forse anche il grande Pinó? “
i' m' arrisico sulo se vale a' pena 'e tentà …. ma po' chi m'o fa fà”. Tozuko è giovane e questo concetto guida inconsapevolmente la sua vita; per lui questo significato vale TUTTO. Non riesce a capire che in ogni cosa ci vuole tempo e che bisogna farsi il callo prima di diventare bravi; che prima bisogna fare la strada in salita per far sì che diventi discesa, e che il non riuscirci alla prima non è affatto sinonimo di stupidaggine ma è una cosa normale e bisogna soltanto continuare a provare e riprovare per padroneggiare ciò che non riesce. Ripeto, un atteggiamento normalissimo per un ragazzo di quell'età che credo farà immedesimare lo spettatore per la sua eterna attualità. Fortunatamente il nostro
kokku troverà una persona che non lo tratterà né da babbeo né gli urlerà contro ma gli farà capire l'importanza di ogni singolo passo – anche quello che può sembrare più banale o squallido – di ogni singola mansione, fondamentale per arrivare alla cima.
E poi ancora: quando Tokuzo dovrà affrontare la prima vera prova della sua vita, ovvero si troverà di fronte ad un
bivio dal quale inevitabilmente si inerpicano due strade profondamente diverse; il ragazzo deve per forza sceglierne una e questa scelta condizionerà inesorabilmente il resto della sua vita. Bellissimo, toccante, profondo ed illuminante ancora una volta il dialogo con il fratello maggiore – santo ragazzo! – il quale gli dice che l'esito di questa scelta si potrà sapere solo molto in là nel tempo e non c'è modo di scoprirlo adesso, ragion per cui è inutile stare a farsi tante domande su cosa è giusto o sbagliato. Piuttosto, il criterio con il quale scegliere un percorso è quindi quello del
rimpianto: l'unica cosa che si sa con certezza – quella sì, la sappiamo – è cosa vogliamo di più e cosa rimpiangeremmo se non la facessimo. Il rimpianto è una spina nel cuore sempre rivolta al passato che, in quanto tale, non possiamo più togliere; meglio quindi evitarlo a tutti i costi e intraprendere una strada di cui non ci pentiremmo DOMANI. Gli uomini sono limitati, non possono conoscere il futuro; forse, se ascoltano attentamente i loro cuori e leggono meticolosamente gli indizi, sapranno cosa accadrà il giorno seguente: meglio quindi basarsi su questo ché è l'unica cosa (quasi) certa che abbiamo nella vita.
Il drama poi, sempre riguardo al tema
sogno, offre un interessante punto di vista o quantomeno ne analizza un aspetto – almeno dalla mia personale esperienza – mai sondato prima d'ora: quello del concetto de “
le persone non possono realizzare i propri sogni da sole”. Il
SOGNO, dunque, diventa, in quest'opera, una specie di
fil rouge che lega e intreccia varie persone a sé ma anche fra di loro, in un continuo scambio e accomunamento di passioni e ragioni d'essere: c'è chi, non potendo più rincorrere il proprio, fa del sogno altrui la propria ragione di vita ed il proprio orgoglio, e per questo cercherà in tutti modi di renderlo realtà; il sognatore in questione (od il proprietario originale del sogno, se così possiamo definirlo), sapendo a sua volta della grande speranza riposta nel suo sogno dall'altra persona, capisce che non può più tirarsi indietro neanche se lo volesse perché oramai il “suo” sogno non è più solo suo ma è anche dell'altro individuo, ed il fallimento ormai non sarebbe più solo un suo fatto privato. Il sogno è, a questo punto,
condiviso e nessuno dei “proprietari” può permettersi di rinunciare o fallire, per non deludere o far restar male l'altro proprietario: ecco, quindi, che il sogno diventa come un
FUOCO, il quale fa muovere e vivere i personaggi, certo, ma che viene anche alimentato dagli stessi, sopratutto dai loro
legami e dalla loro
voglia di condivisione di questo; è un fuoco che fa avvicinare gli uni agli altri ma che ne trae esso stesso vantaggio da questo avvicinamento, alimentandosi e crescendo, crescendo sempre di più.
È una visione tutta giapponese questa, la credenza che
i sogni si avverano solo se condivisi con altri. Non c'è nessun segreto, nessuna dissimulazione – come avviene da noi – per paura che la compartecipazione porti sfortuna, no;
qui è proprio la partecipazione di altre persone la chiave del successo: è come qualcosa che si è costruito in tanti; di chi è? Di chi non è? Nessuno si sente il solo ed unico proprietario e quindi nessuno si sente in diritto di distruggerlo o farci ciò che vuole. Anzi, è proprio sapendo che è di qualcun altro che verrà spontaneo averne cura e preservarlo al meglio, affinché non scompaia.In sostanza, questo drama pone allo spettatore (senza riuscire a risolverlo chiaramente) il quesito vecchio come il mondo di cui tutti noi vorremmo sapere la risposta: “
per realizzare i propri sogni c'è bisogno di bravura e abilità eccezionali? O è tutta questione di fortuna?”
Una cosa a proposito, riguardante questo drama, possiamo dirla: di sicuro Tokuzo
è fortunato. Non solo perché proviene da una famiglia piuttosto benestante la quale, per vie indirette, gli permette di fare conoscenze privilegiate; ma anche perché incontra nel suo cammino persone oneste e sincere che sono pronte ad aiutarlo nel limite delle loro possibilità, o più semplicemente sono disposte ad offrirgli una spalla su cui piangere nel momento del bisogno. Una di queste persone che mi preme accennare è il suo primo mentore Usami-san: una persona severa ed integerrima ma anche molto onesta ed appassionata del suo lavoro, la quale intravede le stesse qualità nel giovane protagonista ed è quindi disposto ad insegnargli. La persona della quale ogni giovane ha bisogno di più (oltre la propria famiglia s'intende) è proprio un MAESTRO, un mentore che possa formare e preparare il giovane, attraverso il suo stesso esempio, per il futuro che verrà. Ecco, Tokuzo non poteva chiedere di meglio.
Ma è anche vero che senza le sue abilità o la sua grandissima voglia di imparare, Tokuzo non sarebbe arrivato là dove poi, invece, arriva: come già detto il suo capo cuoco, Usami-san, decide di prenderlo sotto la sua ala proprio perché intravede in lui onestà e passione; qualità che questi sintetizza nella parola 真心 “
magokoro” cioè
devozione,
sincerità. È proprio perché Tokuzo possiede 真心 che è diverso dagli altri, e senza questa qualità la fortuna sarebbe servita a ben poco.
Quindi quali delle due? La sorte o il talento? Forse …. entrambi. O forse niente di questo ha senso e siamo solo dei pupazzetti in mano alla dea del destino che pettina il filo della nostra vita della quale ogni minuto secondo è già stato deciso ….
Per finire, voglio soffermarmi un attimo
sull'ultimo episodio:
mi ha lasciata un tantino interdetta questa continua preoccupazione verso l'Imperatore e l'intento di assolvere sia lui che il paese stesso sottolineando l'innocenza di entrambi – per dirlo in parole povere, c'è un bel po' di nazionalismo esplicito. Mi ha lasciata interdetta ed un po' spaesata perché non sono riuscita a capire l'intento di questo episodio: se il motivo era puramente la ricostruzione storica (e psicologica come nel caso di Tokuzo) dei fatti che avvennero all'epoca, allora hanno fatto benissimo e sono stati molto molto bravi; dopotutto le persone, a quel tempo, erano ossessionate dalla figura dell'Imperatore tanto da crederlo un dio, ed inoltre, con tutta la propaganda che era stata loro propinata non potevano non credere la loro patria un'infelice vittima dello straniero e degli eventi. Il caso del protagonista, poi, è davvero interessante; si tratta di un'analisi psicologica assai accurata e di una ricostruzione all'insegna del verosimile: “A dirla tutta, non posso sopportarlo. Il pensiero che Okami potrebbe essere condannato …. Dopotutto, giorno dopo giorno …. ho preparato i suoi pasti. Guardando il suo piatto al termine di ogni pasto, mi chiedevo sempre se gli fosse piaciuto. Se avanzava il suo piatto preferito, mi chiedevo se stesse male o se non avesse appetito. O se non l'avessi cucinato bene. Quella era la mia vita. Giorno dopo giorno, è questo che significava per me preparare i suoi pasti. E così è stato per vent'anni. Sarà irrispettoso dirlo …. molto irrispettoso, ma …. in un certo senso, è stato come un figlio. Anche se …. anche se Okami fosse ritenuto responsabile della guerra …. anche se tutto il mondo lo giudicasse colpevole, nonostante tutto …. non potrei fare a meno di volerlo proteggere.” Dalle parole del protagonista stesso apprendiamo come questi senta l'Imperatore come un figlio; non solo l'Essere Supremo, l'incarnazione del Giappone stesso, ma più semplicemente un figlio a cui tutti i giorni si preparano i pasti nei quali viene riversato tutto l'affetto possibile. E come solo un genitore potrebbe fare, Tokuzo è disposto ad andare in capo al mondo pur di salvare il “figlio” che tanto ama. Non tanto una soggezione dovuta ad un condizionamento mentale, quindi, ma più un semplice e normale sentimento umano. Un pensiero piuttosto irrazionale, certo; ma noi uomini, di irrazionalità, ne siam pieni fin sulla punta dei capelli. Quindi ho trovato molto plausibile l'attaccamento e la totale assoluzione dalle accuse da parte del protagonista nei confronti dell'Imperatore; ben oltre prova contraria.
E questa sarebbe la ricostruzione storica. Ma se, oltre a questa, c'è dell'altro ovvero una certa e sottile propaganda nazionalista; ecco, la cosa mi dà un tantino fastidio.
Quindi bellissimo e ben fatto dal punto di vista narrativo; solo un po' ambiguo nello scopo.
In conclusione, un drama
che consiglio a tutti: è sia storico, sia “d'azione” per così dire essendoci un personaggio che deve compiere una “missione”, sia di vita quotidiana. Non è lento, non è monotono ma non è neanche frenetico, riuscendo a dare spazio alla crescita ed al cambiamento dei personaggi, e soffermandosi sui momenti fondamentali dai quali saprà trasporre grande emotività.